mercoledì 19 dicembre 2007
mercoledì 28 novembre 2007
Istallazione costituita da 100 tavolette di legno di cm 18×18, ricoperte di polvere di marmo e terre colorate (25 colori, ognuno sviluppato in 4 gradazioni seguendo l’idea dello spettro dei colori).
Le formelle sono disposte alla distanza di cm 5 l’una dall’altra, possibilmente in linea retta per una lunghezza complessiva di circa m 21. Si preferisce questa disposizione perché le formelle sono unite da una linea bianca continua a rilievo (cm 0.5) che le attraversa tutte come una lunga onda.
Questa la descrizione formale, il progetto complessivo del lavoro ha una collocazione molto più ampia con diversi tempi di realizzazione. Queste 100 formelle, inizialmente esposte e documentate in diverse mostre, verranno poi “disperse” (in parte l’8 settembre in occasione del matrimonio di mia figlia) in nuclei familiari della più disparata estrazione culturale, disperse come “semi” (vedremo se germoglieranno) “proibiti” (come quasi proibita e inaccessibile l’arte contemporanea alla gente comune) in un “labirinto” di relazioni che sarò tenuta a coltivare perché a distanza di qualche tempo (circa un anno) vorrò recuperarle per riesporle di nuovo in mostra, questa volta con un loro “vissuto” artistico. È chiaro che alla fine della manifestazione le tavolette dovranno essere restituite ai legittimi proprietari.
Il titolo è “quanto di luce”, quanto come minima quantità di energia isolabile, energia rappresentata dall’insieme di ormelle (quanti) disposte secondo lo spettro dei colori. Il lavoro una volta smembrato, permetterà a chi lo avrà in dono di possedere un “segmento di luce”…
… E il gioco esplode nella sua bellezza artistica riportata alla pratica sottile della dimensione costruttiva dell’infanzia attraverso i neuroni allenati di Cecilia Falasca che di questa mostra ne paternizza il principio con la soggettiva avanzata ricerca che qui diventano istallazioni di 100 tavolette di legno … (dal testo critico di Antonio Picariello per la mostra d’arte “Labirinto in gioco: arte e voce della natura”, Spoltore ‘07)
Le formelle sono disposte alla distanza di cm 5 l’una dall’altra, possibilmente in linea retta per una lunghezza complessiva di circa m 21. Si preferisce questa disposizione perché le formelle sono unite da una linea bianca continua a rilievo (cm 0.5) che le attraversa tutte come una lunga onda.
Questa la descrizione formale, il progetto complessivo del lavoro ha una collocazione molto più ampia con diversi tempi di realizzazione. Queste 100 formelle, inizialmente esposte e documentate in diverse mostre, verranno poi “disperse” (in parte l’8 settembre in occasione del matrimonio di mia figlia) in nuclei familiari della più disparata estrazione culturale, disperse come “semi” (vedremo se germoglieranno) “proibiti” (come quasi proibita e inaccessibile l’arte contemporanea alla gente comune) in un “labirinto” di relazioni che sarò tenuta a coltivare perché a distanza di qualche tempo (circa un anno) vorrò recuperarle per riesporle di nuovo in mostra, questa volta con un loro “vissuto” artistico. È chiaro che alla fine della manifestazione le tavolette dovranno essere restituite ai legittimi proprietari.
Il titolo è “quanto di luce”, quanto come minima quantità di energia isolabile, energia rappresentata dall’insieme di ormelle (quanti) disposte secondo lo spettro dei colori. Il lavoro una volta smembrato, permetterà a chi lo avrà in dono di possedere un “segmento di luce”…
… E il gioco esplode nella sua bellezza artistica riportata alla pratica sottile della dimensione costruttiva dell’infanzia attraverso i neuroni allenati di Cecilia Falasca che di questa mostra ne paternizza il principio con la soggettiva avanzata ricerca che qui diventano istallazioni di 100 tavolette di legno … (dal testo critico di Antonio Picariello per la mostra d’arte “Labirinto in gioco: arte e voce della natura”, Spoltore ‘07)
martedì 27 novembre 2007
"gioca con me" Area E-spò foto di Ottavio Perpetua
Gioca con me
Il gioco è un affare da bambini, ma il gioco che l’adulto desidererebbe davvero fare è quello che consente di “ritornare bambini”. Ritornare ad una attività creativa che assorbe l’attenzione, che ci concentra, ma senza uno scopo, né una utilità certa.La gratuità è l’essenza del gioco ed è proprio la cosa che gli adulti normalmente dimenticano: è tipico dell’adulto fare qualcosa “per” ottenere, spiegare, dimostrare, giustificare. Un bambino fa le cose perché sono belle.Cecilia Falasca ha ideato un “mezzo” che ci riporta al senso di “gratuità”, al senso del puro gioco, fatto per la semplice ragione di realizzar qualcosa di bello: mette in moto la fantasia, ci concentra sull’ottenimento di una combinazione estetica. Ci riavvicina alla libertà di giocare per il gusto di farlo, ci restituisce l’azione disinteressata. Ma mentre noi accettiamo di giocare il gioco proposto, accettiamo di ritornare intimamente a quello che non avremmo mai voluto abbandonare ma che il vivere ci ha costretto ad accettare. Dunque, non era un banale giochetto ma un modo per ricordarci la parte più bella di quello che siamo stati e che vorremmo ancora essere.
Antonio Zimarino
critico d’arte
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